venerdì 16 marzo 2012

Le montagne di Donostia.




Ma viaggi da solo? Veramente no, la mia borsa è piena di preziosi accompagnatori. Sono nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Ciampino quando abbandono con un po’ di tristezza Valerio Lucarelli e le tremende storie dei Nuclei armati proletari, ma già sull’aereo mi sento rinfrancato dalla conoscenza di Emily Dickinson, suo fratello Edward e la piccola grande Vinnie.  A Bilbao passeggio con Gogol' sulla Prospettiva Nevskij, mentre a Donostia m’affliggo per Il cappotto di Akakij Akakievic e per tutto il viaggio i dubbi di Konstantin Levin saranno i miei.
Euskal Herria è verdissima come la croce della sua bandiera, piena di montagne e mimose in fiore, e l’ora di viaggio che separa Bilbao da Donostia la passo più o meno come un adolescente che limona alla festa delle medie. Quasi non avrei voglia di imboccare l’educato traffico cittadino ma faccio finta di sentire l’irresistibile richiamo dell’oceano, che vedo in tutto il suo splendore dalla collina più alta della città; il quartiere dei ricchi, così viene chiamata l’altura, è infatti l’unico posto dove è possibile parcheggiare l’auto senza accendere un mutuo. In albergo conosco Javi, un basco di due metri, e uno sguardo tra noi è quanto basta per capire la direzione da prendere. Sul Monte Urgull la sua mano trema forte quando mi parla dei Gal, gli squadroni della morte messi in campo contro ETA da Felipe Gonzalez e specializzati in omicidi politici. Faccio domande stupide chiedendo numeri o racconti di esperienze dirette, parliamo del Moro, di Jon Anza, torturato e ucciso appena un paio d’anni fa; la guerra era sentita da tutto il popolo mi dice, ora resta il dolore, la richiesta di giustizia e la rabbia. Del mio paese vuole conoscere ogni dettaglio sul Vaticano, il Papa e i preti. Davanti al merluzzo fritto e al vino bianco di Playa de La Concha ritroviamo il sorriso, che diventa comicità quando scatto questa “patetica” foto da turista:




Javi è una macchina da guerra, vuole farmi mordere tutta Donostia in un paio d’ore: rimbalziamo dalla Zurriola al Monte Igueldo, dal porto al Puente de Santa Catalina, fino a quando stremati ripariamo nella città vecchia. Passeggiamo nelle stradine ombrose osservando con un po’ di cupezza la movida del pomeriggio, fiumi di vino che eccitano questi bei volti (No Giovanardi), transitiamo per le taverne e i bar antagonisti di Calle de Bilbao fino ad arrivare alle mura de la Iglesia de San Vicente, dove ci riposiamo osservando una mostra fotografica sul movimento anti nucleare nel Paese Basco e nella Navarra. Non è una storia poi così allegra:


 Nel tardo pomeriggio ci salutiamo “encantadi”, con un po’ di rammarico per non poterci spingere fino alla campagna circostante, e mentre lo vedo andar via rido di gusto: durante il nostro vagare la mia guida è passata alla larga da tutte le chiese della città. La sera torno nella parte vecchia, a ristorante per darmi un tono pretendo un menù in Euskara: lo sguardo della cameriera che mi osserva da lontano è implacabile, sta contando i secondi che passeranno prima che ne chieda un altro scritto in una lingua per me decifrabile. Per fortuna il simpatico madrileno con cui ceno mi suggerisce le preziosissime righe da indicare per godermi una sopa de pescado e delle mejillón con picada de cebolla, consentendomi di mangiare magnificamente e di non essere spernacchiato dall’intero locale. Per le strade e nei pub si canta, si balla e ci si bacia e le grida mi accompagnano fino al desiderato letto.

Domenica mattina il cielo di Donostia è nero e a pochissimi centimetri dalla mia testa. Recupero la macchina ferma da un giorno: la tappezzeria è completamente impregnata di oceano, delizioso odore che mi accompagnerà per un tratto del mio ritorno a Santander. Attraverso un Paese Basco scuro e cupo, ma ancora più bello. Sto per commuovermi, ma poi scoppio a ridere di nuovo, pensando a Javi e alla fatica che deve aver fatto per non farmi vedere questo cartello a pochi metri dall’albergo:

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